PREFAZIONE
a
cura di Rodolfo Vettorello
Di Anna Montella e della sua scrittura tutto si può
dire tranne che si tratti di “deja vu”, di cosa scontata, risaputa, rivisitata,
in due parole di materia banale e stucchevole.
I temi sono vari e diversissimi ma l’ingrediente
essenziale, una fantasia scatenata, pervade tutte le pagine.
Poiché di ogni genere letterario, di ogni scrittore
si può dire, quantomeno a livello di provocazione, che scrive in fondo di sé,
facendo cioè spesso dell’autobiografia, per Montella è troppo difficile
stabilire e individuare il limite dell’autoreferenzialità nella sua scrittura.
Per la verità, da un punto di vista critico, non è
mai interessante stabilire i limiti veri dell’apporto della esperienza
personale, della biografia dell’autore,
rispetto a quanto sa esprimere attraverso il suo talento.
Più interessante è individuare i modi del come e del
quando il pensiero espresso dai personaggi sia il pensiero dell’autore.
Chi conosce Anna sa dell’energia e della forza della
sua personalità, conosce le sue capacità di mettersi in gioco per affrontare
eventi e situazioni, per risolvere ogni problema apertamente e a testa alta.
Da questo atteggiamento esistenziale deriva una
scrittura diretta, sicura, affermativa e spesso provocatoria. Uno stile che si
può condividere o meno ma che si fa sempre apprezzare per la sua sincerità ed
efficacia.
Non parla mai di sé direttamente ma esprime
convinzioni e lo fa senza infingimenti, senza cercare complicità ma
catalizzando le energie positive di chi possa sentirla, empaticamente, sorella
e affine.
I generi che tocca o a cui semplicemente allude nella
sua Raccolta di Racconti sono molteplici e vari ma sono tutti attraversati
dalla medesima vena indagatrice. Una notevole unitarietà di stile e di gusto
personale determina un “fil rouge” che collega idealmente tutte le storie
proposte.
Il risultato è come sempre rivelatore della
complessità intellettuale dell’autrice e del suo possesso di un mondo interiore
di grande ricchezza.
Nulla è nella sua scrittura scontato e banale come
abbiamo asserito all’inizio; niente è
già visto e sentito e, se non sempre può essere condiviso, sempre può essere
amato per la sua sincerità.
Chi scrive deve confessare di essersi, al primo
impatto, trovato spiazzato entrando nel
mondo interiore di Anna.
Di un’artista qualsiasi, di una scrittrice in
particolare possiamo prefigurarci, attraverso la sua scrittura, il suo
mondo.
Conoscendo di Anna e sia pure marginalmente il suo
vissuto, i suoi modi, il suo lavoro, i suoi interessi, le sue difficoltà e i
suoi successi, dobbiamo alla fine
sentirci tranquillizzati perché quella che scopriamo è una persona
padrona della propria vita e delle proprie emozioni.
Anna è rassicurante e luminosa come donna amica, è
invece inquietante come artista e come personaggio per un suo personale
retroscena inconsueto e imprevedibile.
Se per alcuni scrittori l’attingere alla propria
personale biografia può significare un limite della facoltà immaginativa, nel
caso di Montella la fantasia è talmente strabordante che il problema sembra
porsi a rovescio. Complesso a volte,
individuare nelle storie lo spunto autobiografico, più facile cogliere i
caratteri di una filosofia esistenziale.
Chi scrive ama particolarmente il tipo di scrittura
in cui riesce a percepire qualche affinità ideale con l’autore-autrice.
Nell’opera di Anna, trattandosi di una valida scrittrice,
i suoi racconti evidentemente, più che una testimonianza personale, sono
soprattutto storie, narrazioni, affabulazioni. Traspirano tuttavia tante e
differenti convinzioni che mi è facile condividere.
Il primo racconto “Serenè” ci fa pensare a cosa sia
realmente il tempo. “Ieri, oggi, domani.
Passato, presente e futuro insieme nel medesimo istante. Il tempo non esiste.”
“Il senso” fa pensare a come possa essere molto
esplicativa una sia pure poco dogmatica idea di reincarnazione.
Nel racconto “In principio fu Dolly” emergono i
dubbi più leciti sui limiti della scienza e sui conflitti scienza-coscienza.
“Il sognatore”, una fantasia sul destino
dell’umanità pare essere il discorso sulla relativa insignificanza della nostra
vita. Anna sembra dirci che in fondo siamo solo dei microbi che non possono
occupare l’attenzione degli dei. “Noi ciechi, piccoli topi che continuano la
folle corsa nel labirinto della propria agonia.”
E poi Anna ci parla della sofferenza e si chiede se
il cielo ci voglia felici o infelici. Si chiede se la nostra esistenza sia
libera o tutto sia preordinato. Si domanda quale sia il rapporto tra la vita e
la morte. Si consente alla fine un appassionante dialogo con la luna, la
testimone muta della nostra vita.
Muta per tutti ma non per la sua penna abilissima
che la fa parlare e discorrere con arguzia e umorismo e una punta di sarcasmo
appoggiandosi sapientemente ai tanti testi delle infinite canzoni che la
riguardano.
L’affabulazione di Anna potrebbe continuare
all’infinito perché ci ha sottilmente coinvolti nel suo mondo di ardite
fantasie, di azzardi filosofici, di corse in avanti sul filo di una scrittura
veloce, abilissima e avvincente.
Rodolfo
Vettorello
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